“CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA”, UN REATO INESISTENTE

Dopo le esternazioni del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio in tema di concorso esterno in associazione mafiosa, abbiamo assistito ad una impressionante catena di inesattezze (meglio ricorrere ad un eufemismo, va!),provenienti soprattutto da una sinistra scatenata e dai 5 stellati, ma anche sul fronte contrapposto, da qualche esponente del centro destra.

Ma a stupire maggiormente sono stati autorevoli firme della carta stampata e non. Si è parlato variamente di cancellazione del reato, soppressione della norma, smantellamento del reato.

Compreso un autorevole ex magistrato, come il senatore Grasso, già Procuratore Nazionale Antimafia: Si crea un reato per chi va a rave e poi si vuole cancellare il concorso esterno”.

Ma in questo caso nessun dubbio che si volesse giocare sulla disinformazione per fini politici.

Perché tante sciocchezze? Semplice: perché in realtà non c’è nulla da cancellare o da sopprimere. E perché mai si diranno i più? Perché non esiste un reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Ed è questa la ragione per la quale Nordio, peccando forse in comunicazione politica, ma parlando da fine giurista aveva detto “andrà rimodulato”. Ed aveva aggiunto

“Tra il 2002 e il 2006 ho presieduto la Commissione per la riforma del codice penale, con autorevoli accademici, magistrati e avvocati, e ho studiato tutto ciò che era stato scritto in materia. Praticamente all’unanimità la Commissione ha concluso che il concorso esterno andava tipicizzato con una norma ad hoc”

Ma se non esiste il reato che cos’è? E perché Nordio afferma che andrebbe tipizzato?

Vediamo di spiegarlo anche per i non tecnici. I reati di associazione criminale sono considerati a c.d. “concorso necessario”. Significa che non puoi concorrere nel reato di associazione perché se lo fai, ne fai parte. Insomma: o sei associato e ne rispondi o sei estraneo.

E quando il legislatore del 1982 con la legge Rognoni La Torre ha adottato, sulla base della esperienza del fenomeno mafioso, quella particolare fattispecie che è l’art.416bis, ha scelto di non inserire tra gli elementi costitutivi del reato l’appartenenza rituale all’organizzazione, ma piuttosto il metodo mafioso per conseguire finalità illecite.

Nel tempo il codice ha aggiunto altre figure di reato che riconducono al fenomeno: il 416 bis 1 per le aggravanti del metodo mafioso, il 416 ter sullo voto di scambio, che si aggiungono ad altri strumenti per censurare condotte di fiancheggiamento delle mafie, come il reato previsto dall’art. 418 sull’assistenza agli associati.

Ma per il concorso esterno, nulla.

Perché è stata invece la giurisprudenza, cioè le sentenze, mai vincolanti nel nostro ordinamento, ricordiamolo, a costruire l’ipotesi del concorrente esterno, ossia di quella particolare figura che, pur non avendo un ruolo stabile nell’ambito dell’organizzazione criminale, ha fornito un supporto duraturo di qualunque natura, per il raggiungimento delle finalità proprie del sodalizio mafioso, qualunque esso fosse.

E con questa ipotesi sono stati processati, tanto per citarne alcuni, il defunto Giulio Andreotti, Bruno Contrada, Marcello Dell’Utri e tanti altri meno noti.

Ma forse vale la pena ricordare che, proprio con riferimento alla condanna di  Bruno Contrada (con riferimento al quale anche nel merito ci sarebbe molto da dire), la Corte di Giustizia Europea con la sentenza del14 aprile 2015, ha invece condannato l’Italia in quanto la configurazione del reato contestato, all’epoca dei fatti non era così chiara.

In altri termini la Corte dice: per un reato che non esiste nel codice, ma che è stato costruito dalle sentenze di giudici che si sostituiscono così al Parlamento, come si può condannare condotte di anni prima?

E l’Europa non è che la tiriamo in ballo quando ci censura sulla corruzione, ma non ci piace quando ci bacchetta sul concorso esterno.

Insomma in questo quadro, forse una rimodulazione non è proprio un idea strampalata, se vogliamo ad essere uno stato di diritto.

Diversamente rimarremmo in balia di un Pubblico Ministero che potrebbe aprire indagini – a seguito delle dichiarazioni di un pentito – ad esempio, nei confronti di un vecchio maresciallo che negli anni 80 si era rivolto al capo mafia  per recuperare una pistola rubata ad un suo carabiniere. Un comportamento che va censurato, mi direte. Certo! Ed  anche in quel caso si potrebbe parlare di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma significherebbe reiterare l’errore stigmatizzato dalla Corte di Giustizia.

Nessun reato da abrogare o cancellare, dunque. Ma lasciare le cose così come stanno, significherebbe lasciare ancora una volta una surroga in bianco del potere legislativo, nelle mani dei giudici.

Angelo Jannone

Membro Comitato scientifico Istituto Friedman

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